I mufloni sono ormai uno dei simboli dell’isola del Giglio nonostante non sia un animale autoctono di queste zone bensì introdotto dalla vicina isola della Sardegna.
Oggi si discute molto sul progetto “Life LetsGoGiglio” dal valore di 1,6 milioni di euro voluto dall’Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano e la Commissione Europea, finalizzato all’eradicazione dei Mufloni dall’isola perché considerati una razza non autoctona e perciò potenzialmente dannosa per il delicato equilibrio dell’eco-sistema originario dell’isola.
Qualche curiosità in merito a:
I mufloni sono mammiferi originari dei bovidi che possono raggiungere in età adulta quasi un metro e mezzo di lunghezza i 40 chilogrammi di peso. Il loro manto è colorato con le tonalità del grigio, del nero e del marroncino e facilmente riconoscibile per le due grandi corna a spirale che crescono lateralmente. Vivono in zone collinari dove si alimentano di molte specie di piante, erba che nasce spontaneamente in natura e se capita delle colture.
Le femmine in gregge e i maschi da soli, in Europa è possibile incontrarli soprattutto sulle isole della Corsica, della Sardegna (dove rappresenta una specie protetta appartenente alla razza di ovino domestico introdotta sull’isola dagli uomini neolitici) e la greca Cipro oltre che con in concentrazione minore sull’isola del Giglio, sull’isola d’Elba e nel Lazio sull’isolotto di Zannone.
In molti si domandano come hanno fatto questi animali ad arrivare sull’isola, era il lontano 1955 quando i Mufloni vennero portati al Giglio più precisamente nella Riserva del Franco grazie a un progetto di cui si occuparono alcuni noti studiosi naturalisti (Augusto Toschi, Alessandro Ghigi, Ugo Baldacci e Renzo Videsot) con lo scopo di tutelare e salvaguardare questa specie mammifera dalla possibile estinzione.
Venne scelto il Giglio per le analogie che aveva con l’isola sarda da cui la specie animale proveniva. Altre tesi suppongono invece che i mufloni siano stati introdotti sull’isola nel 1976 per un’attività puramente venatoria.
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Foto di Scclgr da Wikimedia
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