La riscoperta della musica etrusca

La musica era un elemento sempre presente nella vita degli Etruschi. Questo ce lo testimonia anche il filosofo greco Aristotele. Secondo lo Stagirita, infatti, “gli Etruschi praticavano il pugilato, fustigavano i servi e impastavano il pane a suon di musica”. La cosa ci viene confermata da tantissime pitture etrusche. Troviamo le immagini di molti strumenti e di molti suonatori sulla superficie dipinta dei vasi etruschi, o sulle pareti delle tombe di Chiusi, Orvieto e Tarquinia. Tantissimi studi si sono occupati della questione, molti archeologi e musicisti hanno provato anche a riprodurre questi strumenti, restando tuttavia sempre nel campo delle ipotesi. Tuttavia, negli anni Sessanta, nelle acque a largo dell’Isola del Giglio si è fatta un’importantissima scoperta.

La riscoperta della musica etrusca:

 

Un naufragio nel 600 a.C.

Siamo tra il 580 e il 570 a.C. Una nave proveniente dall’Asia Minore, probabilmente greca, naviga per il Mediterraneo. Trasporta un carico di merce molto preziosa, destinata ai più importanti mercati dell’epoca. È carica di ceramiche, anfore, unguenti, profumi, olive, lingotti di piombo e di rame. Supera lo stretto di Messina e si dirige verso nord, l’attracco è all’Isola del Giglio. Qui i marinai posso rifocillarsi e rifornirsi d’acqua e provviste. Nella notte però l’imbarcazione viene avvolta dalle fiamme. La nave è stata incenerita dalle fiamme e inghiottita dalle onde. Il suo carico prezioso è andato perduto, giace sul fondo del mare.

 

Un fortunato ritrovamento negli anni Sessanta

Negli anni Sessanta alcuni sommozzatori ritrovano il relitto di una nave al largo della spiaggia del Campese. È una nave di legno, carbonizzata da un incendio. I resti sono anneriti e c’è una coltre di cenere che copre i misteriosi resti. Nel 1985, l’archeologo subacqueo Mensun Bound ottiene il permesso di portare in superfice i resti del relitto a largo dell’Isola del Giglio. Le scoperte che vengono fatte sono sensazionali. Si scoprono moltissimi oggetti perfettamente conservati, tra cui un gruppo di flauti in legno e avorio. Questi vengono esposti al Museo di archeologia subacquea di Porto Santo Stefano.

 

Lo studio degli strumenti musicali

Questi strumenti musicali attirano l’attenzione dell’archeologa Simona Rafanelli, direttrice del Museo Archeologico di Vetulonia e del musicista Stefano “Cocco” Cantini, sassofonista jazz di grande fama. Questi reperti accendono molte curiosità. Qual è la loro origine? Come venivano suonati? Qual era il loro suono più autentico?
L’archeologa e il musicista vogliono rispondere a queste domande. In primo luogo, Simona Rafanelli trova fonti iconografiche che ci mostrano come venivano suonati all’epoca questi flauti. Da questo punto di vista si rivelano illuminanti i dipinti della tomba dei Leopardi di Tarquinia, datata V secolo a.C. Comparando tantissime testimonianze iconografiche si arriva alla conclusione che i flauti ritrovati sono etruschi.
Stefano Cantini studia attentamente la raffigurazione degli strumenti musicali della tomba dei Leopardi. Ogni dettaglio diventa fondamentale per cercare di ricostruire la musica etrusca. Il musicista costruisce delle copie identiche dei flauti ritrovati, facendosi inviare dall’Ucraina un legno identico a quello utilizzato ventisei secoli fa.

Questo studio ci ha permesso di ricostruire in modo molto fedele il suono degli strumenti musicali etruschi. Purtroppo non disponiamo di spartiti o di testimonianze scritte che ci permettano di ricostruire come gli etruschi componevano e suonavano la musica. La notazione musicale apparirà in Occidente solo nel Medioevo. Eppure, oggi si prova a suonare nuovamente la musica degli etruschi, organizzando vari eventi, di cui molti proprio all’Isola del Giglio.

 

Photo Credits:
Photo by Egisto Sani for flickr

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